La luce delle idee
Philippe Petit nel suo “Trattato di Funambolismo” dice: Chi cammina, danza o volteggia su una corda a qualche metro da terra non è un funambolo. Che il suo filo sia teso, lento, molleggiato o completamente libero, viene chiamato ballerino sulla corda. Nell’opera di André Che Isse è facile sentirsi come il funambolo Philippe Petit, si cammina sopra una fune, sospesi nell’ebrezza del vasto operato di un artista, in una sindrome di Stoccolma tra danza, pittura e poesia. Infatti questo percorso può essere vissuto come una corda tesa a pochi centimetri da terra sopra la quale chiunque può provare a compiere qualche passo, così per gioco, altrimenti, per approfondire carpendo il più profondo dei significati è necessario essere funamboli, pronti a passeggiare nel vuoto. Non sono corde tese quelle di André Che Isse, ma sagacemente adagiate, fermate da spago come filo del discorso ed illuminate dall’ispirazione.
L’artista cammina sopra un cavo di cultura ed esperienza, dove l’Ethos greco, la filosofia occidentale, la disciplina orientale e la passione umana si incontrano nella raffinatezza della matematica, cara agli egizi, dove i numeri possono acquisire qualsiasi significato e ogni significato può essere espresso in codici.
Nell’operato dell’artista ci si può perdere e ritrovarsi più volte data la vastità delle nozioni, concetti ed informazioni che traspaiono dalle sue opere, il vissuto del poeta, pittore e danzatore inevitabilmente ruota su se stesso cercando un rapporto che non divenga conflittuale, quindi in un titolo si può incontrare una poesia e all’interno di essa una nozione storica, un neologismo, un passo di danza, un’espressione algebrica. Infatti non è semplice fare della versatilità una forza, è facile ridondare nell’ esprimere un concetto utilizzando più linguaggi contemporaneamente, allo stesso tempo è necessario provarci soprattutto quando questa espressione fa parte di un percorso ricco e versatile, che non si vuole lasciare fine a se stesso, piuttosto condividerlo col prossimo, cercando con la complessità di rendere la semplicità, così l’intento di Adré Che Isse con le sue opere, a primo impatto di facile lettura, delicate, moderne, affini al design e agli oggetti d’arredo ma che celano molteplici significati, raccontano storie. Infatti, nella lettura analitica delle opere ritroviamo l’incontro di vari materiali utilizzati per esprimere concetti diversi, ne La Gilda di Dioniso per 4 Danzatori Scalzi degli Dei la tempera rappresenta un palcoscenico, sopra il quale i corpi dei danzatori si muovono come corde nell’aria di cotone, sorretti nel retro da trama e ordito (quasi ad evocare il filo di Arianna dell’esistenza, quindi il labirinto espresso dalla Geranos, la danza che rievoca i labirinti), uniti nella ruggine come una gilda del passato, il tutto retroilluminato, a rappresentare l’aspetto magico, divino, dionisiaco, che si manifesta concretamente attraverso la danza, non a caso infatti le figure sono quattro, ad esprimere il senso pratico, il mondo fisico, la concretezza delle idee.
I Canopi Trascendentali per l’Eterno Ritorno di Zarathustra così come i Danzatori hanno simili materiali, si aggiunge l’utilizzo della matita a sposare l’Egitto con l’esistenzialismo, sino ad arrivare alle Machine Eudemonichee La Curva Erba dell’Haiku, nelle quali cambiano i numeri, dal quattro si passa ad una veste orientale dove il poema pittorico viene scandito in tre versi e la rude corda si trasforma in delicata carta velina. Il tutto reso attraverso un elaborato studio di soggetto, materiale, composizione, concetto e resa finale. Piero della Francesca, Salvador Dalì, l’AI che riproduce i quadri di Jackson Pollock, questi e molti altri gli esempi di rapporto tra arte e matematica. Un artista è vincolato tra ciò che vuole esprimere, ciò che può realizzare attraverso la propria arte, l’interpretazione dello spettatore e l’effettiva magia del risultato finale. Un’opera d’arte è l’elevazione dell’artigianato, l’artigiano è colui che costruisce oggetti non di serie, costruire significa ideare ed eseguire, ideare è l’attività esercitata dalla mente nel prendere coscienza del sé, il sé è la caverna di Zarathustra e nelle caverne i primi tra gli uomini sentirono la necessità di incidere le loro gesta attraverso la realizzazione di graffiti.
André Che Isse non è il primo tra gli uomini, ma nelle sue opere ricerca la stessa ancestralità, con il rigore del metodo scientifico abbinato ad un senso religioso, dove la fede è per ciò che si sente nel tessere i fili della propria esistenza. Infatti l’artista sente il libero arbitrio dell’arte, sa che il suo operato sarà sempre limitato dall’arte stessa, ma comunque vede la propria caverna e da questa vuole uscire come nel mito di Platone, perché grazie alle caverne è più semplice apprendere il concetto di luce, la luce delle idee.
“Finché il vento dei nostri pensieri, più violento di quello dell’equilibrio, tornerà presto a far volteggiare verso le nubi questa piuma così sensibile.”
Philippe Petit
Testo critico di Giosuè Deriù