“Ho cercato di trovare la luce nel buio, il bianco nel nero, estrarre dal veleno medicina” L’Ebbrezza è il progetto che introduce l’utilizzo della candeggina come tecnica pittorica/ scultorea nell’arte. Nella storia della pittura ritroviamo alcuni artisti che nelle loro opere, in periodi di ricerca e sperimentazione, hanno utilizzato in modo astratto e marginale l’utilizzo della candeggina, ma non ritroviamo nessun esponente principale e nessun libro la cita come tecnica a se stante: Andrea Sassi, in arte Jaz, è un artista Emiliano che ha fatto della candeggina il suo stendardo, utilizzandola come fosse colore ad olio, studiando velature, diluizione, tempi di posa e molto altro, di fatto grazie all’effetto chimico decolorante, nelle sue opere percepiamo chiaramente come la tecnica rappresenti un sodalizio tra pittura e scultura, dove il pennello descrive l’una e il processo di sottrazione l’altra, di fatto il concetto stesso della tecnica prevede l’estrazione della luce dal nero. L’Ebbrezza è il tema della personale, scene di vita quotidiane legate all’utilizzo dell’alcol. Momenti precisi dove la sostanza inizia a prendere possesso della coscienza dell’individuo portandolo in uno stato di momentanea eterea felicità, infatti anche il termine ebrezza viene utilizzato nella sua forma ancestrale, con la doppia lettera B, come a voler rafforzare e rendere autentico il concetto. La scelta del tema, quindi l’utilizzo dell’alcol e dei suoi effetti, è fondamentale per capire come l’artista si inserisca in un contesto storico senza tempo, entrando in qualsiasi classe sociale, tra rito e religione, soggetto comune a tutti e da tutti accettato nei limiti. Infatti nelle sue opere tocca lo spettatore per farlo sorridere ma soprattutto riflettere, su se stesso e sulla società nella quale vive, ammirarla senza giudicarla, capirla pur senza condividerla, rispettarla per come è, e come da secoli va avanti, tra un bicchiere e un altro. Banksy sta ad Andy Warhol come Jaz sta a Caravaggio, infatti le sue opere cercano la luce, in tutti i sensi, anche nel contesto che rappresenta. L’artista esprime concetti universali attraverso immagini e soggetti contemporanei, dove gioia, disperazione, azione rituale e malinconia vengono cullati da una sensazione morbida, evidente, l’emozione dell’ebbrezza. Nelle opere l’utilizzo della candeggina è raffinato come le velature dell’arte classica, il panneggio, la resa dei volti quindi del incarnato detiene una gestione della luce sopraffine così il fuoco come il ghiaccio escono dal cotone e per ogni rappresentazione la decolorazione sembra avere una individualità alla stregua del colore. La tecnica è frutto di uno studio di anni, partendo dal materiale dal quale l’artista estrae le immagini, per le tele infatti utilizza diverse qualità di cotone, da quello egiziano a quello italiano, ognuno di questi, avendo un intreccio di trama e ordito differente, permette una diversa decolorazione, nelle velature classiche le pennellate possono essere infinite mentre con la candeggina le “mani” sono limitate, poiché dopo il bianco si arriva alla corrosione. Questo implica un controllo straordinario dei materiali e della loro reazione. Una tecnica nuova dalla resa antica, semplice da capire e difficilissima da gestire, ardua come gli effetti dell’alcol quando si è bevuto troppo e si deve tornare a casa ma piacevole come quando lo stato di euforia è condiviso e porta benessere. Una poesia di Eubulo nell’antica Grecia iniziava così: Tre coppe di vino, non di più, stabilisco per il bevitore assennato, la prima, per la salute di chi beve…
Giosuè Deriu